Periodo dell’ ”Iperspazio“, anni ’90 e seguenti

5 ° capitolo

Particolarmente interessato ai problemi geometrici e alla scoperta di nuove dimensioni ulteriori a quelle dell’altezza, larghezza e profondità, Estuardo Maldonado aveva trovato una nuovo territorio di ricerca, ed anche nuovi concetti da approfondire.
Il termine “Iperspazio” fu da lui definito come un’estensione del Dimensionalismo; una sorta di Iperuranio, uno spazio, quindi, dove le tre dimensioni convivevano con altre infinite, creato da “ un movimento virtuale di forme generato attraverso la variazione della dislocazione spaziale dell’osservatore rispetto all’opera.” [1]
In questo iperspazio le forme interne cambiavano continuamente, si trasformavano, definendo nuove profondità, angolazioni e colori.
Non si poteva più parlare di un “ambiente” unico e puramente geometrico, ma una ”trasposizione della natura in una forma reale, sintetizzando il continuo spettacolo della vita nella più essenziale architettura dei volumi.“ [2]
Da sempre, infatti, fu grande il suo desiderio di assimilare e riflettere la natura nelle sue opere, lavori che potessero avere la “linfa vitale” e l’energia riscontrata nel mondo naturale,  armonia e ritmo legati tra loro.
Lo sviluppo consequenziale di questo spazio”ulteriore” fu la formazione di una nuova definizione geometrica: l’ipercubo.
L’ipercubo era costituito da vari cubi che si ripetevano in forme, inclinazioni, volumi, piani e linee generando cinque movimenti alla volta. Le dimensioni così ottenute erano ampiamente superiori a due; secondo l’artista queste non erano altro che “dimensioni possibili della realtà”.[3]
Formato da diverse maglie metalliche colorate e da piani in sequenza, l’ipercubo delimitava i differenti iperspazi, sviluppando un forte senso dinamico e riflettendo le varie realtà del fluire del tempo.
Si andavano così a creare “ uno spazio mentale, una dimensione corporea ed uno spazio esterno”[4], i cambiamenti della fonte luminosa e della percezione umana.
Solitamente gli ipercubi possedevano nomi di fisici e scienziati, così da evidenziare maggiormente il legame con la matematica, le possibilità “multi-dimensionali” e quindi le diverse “facce dell’infinito[5].
Nel 1994 Maldonado presentò una mostra antologica a Santo Domingo, esponendo insieme ai suoi disegni anche le sue ultime creazioni:  gli ipercubi (tavv. 121-124).

Tav. 121. Estuardo Maldonado
Hipercubo Hawking, 1993
Il pubblico e la critica rimasero sorpresi nel vedere cubi metallici sospesi nell’aria, dei “mobiles” che ricordavano Calder, ma con una geometricità – leggerezza autentica, studiata e genuinamente sentita.
“Nuvole” delicate, trasparenti, staticità, simmetria ed equilibrio, “Maldonado forma, trasforma e dà nuove dimensioni ai volumi spaziali, a questi unisce il colore, elemento vitale del suo creare artistico.“ [6]

Tav. 122. Estuardo Maldonado
Hipercubo Galileo, 1994

Per la critica d’arte Francesca Pietracci gli ipercubi erano simili a degli organismi viventi:”cambiavano la concezione stessa della natura.. superavano le linee convenzionali di demarcazione tra esterno ed interno.. si avvicinavano al concetto di realtà virtuale.”[7]

Tav. 123. Estuardo Maldonado
Hipercubo Einstein, 1994

Il suo percorso artistico e di ricerca continuava parallelamente, i suoi studi sulla geometria e sulle dimensioni lo occupavano sempre  più, la teoria sulla relatività di Einstein (spazio + tempo) e l’iperspazio studiato e definito dal matematico Henry Poincaré [8] lo affascinavano e lo invogliavano ad approfondire questi argomenti  sviluppandoli come risultato nelle proprie opere.

Tav. 124. Estuardo Maldonado
Hipercubo Leonardo, 1994

Precedentemente nel 1991, Estuardo Maldonado fu invitato a Nagoya, in Giappone, a partecipare alla mostra Maestri dell’America Latina: la sua fama stava diffondendosi sempre maggiormente.
Nel 1996 realizzò una nuova esposizione antologica, El Espíritu de las Formas 1954 – 1996 che comprendeva molti dei suoi lavori ed innovazioni principali, mostra itinerante, prima a Quito poi a Guayaquil.
Una retrospettiva molto importante, con 150 opere presenti, da quelle più antiche (figurative) a quelle contemporanee dove il lirismo e la tecnica combaciavano.
Tra i lavori anche molte sculture, quasi tutte del periodo Volumen y Espacio, dal  1965 al 1990 circa, che aveva iniziato ad eseguire basandosi sulle forme geometriche, le diverse simmetrie ed il calcolo ragionato.
Tra le opere: tre sculture sottili, formate da un’unica lastra metallica (tavv. 125-127).

Tav. 125. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La prima, di colore blu elettrico, formata non da una linea precisa e principale, ma da linee spezzate.
Verticalmente la figura si ergeva ben installata sul terreno, sviluppando punte aguzze, ma solide.
Sebbene priva di simmetria nelle parti, evocava un senso ornamentale, gioiosamente ludico ed armonico.

Tav. 126. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La seconda, anch’essa blu, era costituita da più forme geometriche: due triangoli ed un rettangolo. La sottile lastra metallica aveva un aspetto atipico, figura “aperta”, ma irregolarmente sviluppata: sembrava quasi incompleta nella propria indefinibilità.
Poggiava in bilico su un piedistallo più compatto e resistente.

Tav. 127. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La terza era di colore grigio, definita da stretti triangoli aguzzi, la parte centrale conteneva un triangolo rosso, così da sottolineare la parte interna con “tagli” verticali, anch’essi triangolari, e  la verticalità dell’opera.
La figura poggiava delicatamente su una punta, a sua volta su un basamento cubico; il senso dinamico era evidente, seppur non esasperato.
Altri tre lavori geometrici in cui la lastra metallica era più spessa e presentava “sviluppi” interni (tavv. 128-130).

Tav. 128. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La prima e la seconda scultura erano simili per il colore grigio metallico e parte interna in evidenza  che conferiva più profondità all’opera.
La prima aveva un’apertura centrale interna raffigurante una superficie dalle punte aguzze, erano così posti in risalto gli spigoli triangolari ed il vuoto come uno
“ spessore pieno”.

Tav. 129. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1960-1990

La seconda, anch’essa con apertura centrale, aveva alla base due triangoli: uno rosso e uno giallo che sottolineavano le parti aguzze del vuoto centrale ed il senso di freddezza.

Tav. 130. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La terza opera era differente: un quadrato formato da una lastra di colore blu elettrico, sulla superficie diversi quadrati a formare una texture di accenno geometrico.
Quattro aperture cubiche di diverse dimensioni rompevano la compattezza della figura; lo spessore interno era definito anche dalla presenza del vetro, che conferiva all’opera un senso di luminosità e trasparenza.

Due lavori erano formati da diverse forme geometriche, disposte in maniera sempre simmetrica ed armoniosa (tavv. 131-132).


Tav. 131. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La prima scultura era formata alla base da un grande quadrato grigio al cui interno spiccava una sfera rossa, al di sopra una sfera blu “chiusa” in un quadrato “aperto”.
Due figure geometriche che si ripetevano come in un gioco di specchi, senza mai sovrapporsi né ostacolarsi.
Il volume e lo spazio come elementi fissi, ad indicare aperture e chiusure: dilatazione dei volumi e sensibilità nelle forme.

Tav. 132. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

La seconda opera si sviluppava in senso verticale, formata da cubi, dalle sfumature delicate e dalle diverse dimensioni, che si equilibravano a vicenda uno sull’altro.
Il cubo centrale era quello più grande, sul quale poggiavano cubi minori, esaltando il senso di equilibrio e freddezza.
Su ogni cubo era stato effettuato un taglio diagonale; questo conferiva ritmo e spazialità.
Infine un’opera a sé stante (tav. 133): la scultura era formata da una sottile lastra metallica dai colori marrone, nero e blu; solcata da una linea continua rossa così da sottolineare, sulla superficie, la presenza di diversi triangoli.

Tav. 133. Estuardo Maldonado
Serie El Volumen y El Espacio, 1965-1990

Le forme triangolari erano di colori diversi, quindi, e di grandezze differenti.
L’insieme era disomogeneo, ma elegantemente asimmetrico.
Si trattava di sculture diverse,ma accomunate dalla geometria e da una sensibilità, certamente calcolata e  sinceramente espressa.

A Quito la mostra aveva luogo in un solo museo, a Guayaquil i musei scelti erano quattro: a seconda dei diversi periodi.
Il suo antico mecenate Benjamín Carrión fu molto entusiasta del cammino sempre in evoluzione del suo “pupillo”, del suo lavoro che: giunge dentro alla scultura, però illuminato con le trasparenze che sa offrire la cultura, il confronto con i valori dell’arte in latitudini dove lo spirito e la carne fusi ci mostrano la migliore verità, l’unica: l’uomo contemporaneo.[9]

In quell’anno partecipò anche alla V Biennale a Cuenca, esponendo le sue sculture: opere di vecchia data con quelle bidimensionali, dove tensioni interiori, contrasti visuali e forme si incatenavano in un senso dinamico ed ottico.
Dai primi anni Novanta si era un po’ allontanato dall’Italia; aveva studiato a Roma, soddisfatto il suo desiderio di conoscere l’arte classica, lavorato in un clima europeo aperto ai nuovi stimoli, ma il suo attaccamento alle radici era sempre rimasto molto profondo; così la voglia di tornare nel suo Paese, dal quale era stato lontano per molto tempo.
In Ecuador aveva ritrovato la sua gente, la sua terra, gli stimoli e l’energia per andare avanti e proseguire i suoi lavori, con curiosità, caparbietà e tanto impegno.
Tra il 1997 e il 1998 continuò ad esporre in Sud America: a Quito, Honduras e  presso l’Ambasciata dell’Ecuador in Perù. Si sentiva vicino a questi popoli, li legava una storia pressoché comune, una voglia di riscatto e un desiderio di autonomia, economica, sociale ed artistica.
Nelle sue mostre, l’artista si accorse che gli ipercubi erano fonte di grande interesse da parte del pubblico, erano dei “vuoti” con “superfici metalliche che fluttuano, si incrociano, si espandono e crescono[10], avevano variazioni infinite; ognuno aveva le proprie caratteristiche differenti da quello precedente e posteriore, “tutto era pieno di energia, dinamismo e spirito[11]; l’opera appariva come un insieme di “sensibile ed emozionata bellezza.[12]
Nel 1999 espose in Europa, a Praga; la storica d’arte Francesca Pietracci riconobbe nelle opere la vicinanza con la natura, una “struttura in condizione di connettersi con le altre e quindi una - metastruttura – una struttura di strutture.[13]
Tra il 2000 e il 2001 realizzò diverse esposizioni a Quito, a Santiago del Cile ed infine in Australia, a Perth.
La Scuola di Architettura e di Belle Arti della Western Australia University invitò due esponenti dell’arte ecuadoriana: Gilberto Almeida Egas ed Estuardo Maldonado ad introdurre i propri studenti all’arte precolombiana e a quella contemporanea del Sud America, sviluppando letture, dibattiti ed argomentazioni sul Dimensionalismo.
Per l’artista fu un’occasione interessante per esporre le proprie opere nel nuovo continente: “maestro” nel proprio paese, di antiche tradizioni e sperimentatore di nuove modalità di espressione.
Nel 2002 espose a Riobamba (cittadina a sud della capitale),  a Quito e in Spagna, ad Almudìn, vicino a Valencia.
A Riobamba realizzò l’esposizione La PinturaObjeto, una mostra nuova, non più cubi metallici dalle infinite dimensioni, ma una scelta diversa, opere astratte, a olio e acrilico, dove la linea tornava ad essere protagonista.
A Quito si svolse un’antologica che comprendeva circa 300 opere: dai suoi primi quadri fino agli ipercubi, Antologia 1945 – 2002: all’artista fu concesso di esporre nelle sale della Pontificia Universidad Católica de Ecuador, un avvenimento di grande rilievo.
A detta di tutti era stato di capace di riflettere l’arte in maniera mistica, passando attraverso l’arte precolombiana e facendo affiorare elementi provenienti dall’antichità andina anche nelle ultime opere più tecnologiche: nella concezione di iperspazio si poteva intravedere l’unione del moderno e dell’antico, “linguaggio universale ed arte locale”[14], per il critico Marco Antonio Rodríguez la sua espressione era riflesso del presente e del passato,“... similitudine del quadrato del piatto di Valdivia...cinquemila anni di storia si fondono in un abbraccio inesprimibile...[15]
Ogni volta, ogni sua mostra era sempre diversa.
... la fa diventare ancora più contemporanea, gioca con gli spazi, con le luci, con le ombre... qualcosa sempre di nuovo, nello spazio vuoto, nella geometria, nella perfezione delle linee, o nel gioco dell’occhio che vede quello che vuole vedere... ipercubi o ipersfere, mobiles che invitano lo spazio a colmarsi.[16]

In quell’anno andò in Spagna per una mostra nei pressi di Valencia.
Il luogo espositivo era il Museo di “El Almudín” (tav. 134), un edificio che era anticamente destinato alla distribuzione del grano, costruito all’interno di una cittadella islamica nei primi decenni della riconquista cristiana (XVI secolo).

Tav. 134. Museo El Almudín - Valencia
Esposizione Estuardo Maldonado Ottobre-dicembre, 2002

Essendo un ambiente abbastanza vasto, quasi un cortile aperto con arcate di forma basilicale, l’atmosfera era sobria, mistica; di forte impatto, quindi, la presenza di strutture modulari, forme geometriche ed ipercubi, che sembravano “rompere” un equilibrio pressoché perfetto di spazi, silenzi ed ombre.
Il contrasto era suggestivo; l’edificio era pieno di luce e questa si rifletteva sulle opere creando dei giochi ottici, “un profondo legame tra la realtà dell’immagine mediante la luce”[17], capacità di Estuardo Maldonado nel “modulare gli spazi in strutture di tali forme che la superficie acquista concezioni tridimensionali.[18]
Era stato Giulio Carlo Argan nel 1972 ad affermare: In tutta la scultura di EstuardoMaldonado ci sono almeno due materie: quella della scultura e la luce. Queste due materie si qualificano reciprocamente come forma...[19]

Tra il 2003 e il 2004 espose all’Università di Alcalà a Madrid, a Valencia, a Quito, a Riobamba, in Perù e  a Washington.
Infinite erano le sue geometrie, gli sviluppi dei piani e dei suoi ipercubi: la tecnica, minuziosa e precisa, sottolineava la molteplicità delle linee, “l’edificazione delle architetture interne”[20].
Evidente era il legame tra spazio e tempo; su questo l’artista dichiarò:” Le misure temporali sono espresse nelle mie opere; in queste le immagini riflesse e moltiplicate tra il volume e lo spazio producono un movimento continuo e dei cambiamenti di forme.”[21]
Secondo questa sua logica dell’Iperspazio e Dimensionalismo “Estuardo Maldonado... manifesta la sua sensibilità mediante la geometria captando nella sua opera una concezione nuova all’interno del mondo dell’arte contemporanea, stabilendo una relazione spazio – volume – ritmo – luce[22]
Nel 2005 espose a Chicago e nei pressi di Valencia, nel Real Monasterio de Santa Maria de la Valldigna.
In entrambi i luoghi le opere erano quelle più attuali, di carattere geometrico, iperspaziale: in America i suoi lavori furono accolti in una galleria; in Spagna in un monastero del XII secolo, dove l’effetto con l’arte tecnologica e all’avanguardia non era stridente, ma quasi complementare.
Le esposizioni  più recenti: nel 2006 a Washington e a Guayaquil.
Così la giornalista Milagros Aguirre descrisse il lavoro dell’artista: L’opera di Estuardo Maldonado è fatta di una sostanza speciale che va al di là della diversità dei materiali che impiega nel suo lavoro. E’ una cosa speciale...una certa capacità di inventare, ogni volta, qualcosa di nuovo... Questo uomo ha un dono speciale, una virtù che va al di là delle sue abili mani, al di là dell’alchimia che fa parte dei suoi lavori in acero inossidabile o dei suoi esperimenti geometrici. L’opera di Estuardo Maldonado è sempre una ricerca e, per lo spettatore, sempre un incontro, un gioco, una scoperta poiché, sebbene si abbia già visto un suo lavoro, non si termina mai di vederlo, di osservarlo, di ammirarlo, di riuscire ad avere teorie diverse per capire il contesto della sua opera...[23]
A Guayaquil, città  dove da adolescente si trasferì per studiare, nell’agosto realizzò la mostra DimenSiones: dimensioni (molteplici) come quelle che ricercava e sta tuttora cercando, (Dimensionalismo, Iperspazio), geometrie “irreali” dotate di potere emotivo, ma anche S maiuscola come suo segno distintivo, sua “firma” nel periodo del Precolombinismo, “reliquia” di un passato (ma non “trapassato”) senz’altro ingombrante ma imprescindibile, segno di vita e morte, ripreso come volontà di proseguire, impavido, instancabile, verso nuovi territori da scoprire (senza mai dimenticare le origini), verso conoscenze sempre maggiori, verso un futuro che è un eterno presente...
La prossima meta? Realizzare nella sua grande casa affacciata sui tetti di Quito un Museo: “Seimila anni di scultura ecuadoriana”, così da poter legare l’amore verso l’arte/scultura (classica e contemporanea) a quello per la propria terra, perché: “A me interessano la forma e il movimento che si perdono nel tempo e nello spazio.[24]

Maldonado continua ad avanzare, senza sosta. La sua creazione percorre più di cinquant’anni, e come tutte le opere di grande importanza attraversa molteplici trasformazioni, senza mai ripetersi, poiché  l’ opera di questo ecuadoriano universale è nata per infrangere il tempo e lo spazio e così sopravviverà nella storia.
                                                                            Marco Antonio Rodríguez
NOTE



[1] Estuardo Maldonado, Cenni sullo sviluppo attuale della mia opera – Documento Final, Roma, 1991.

[2] Luis Bossano R., El recorrido de un arte trascendente: del espíritu a la materia, Quito, 1996, p.36.

[3] Estuardo Maldonado, Estuardo Maldonado. Antología 1945 – 2002, Quito, Pontificia Universidad Católica de Ecuador, 2002, p. 5.

[4] Francesca Pietracci, cat. mostra “Istituto italiano di cultura”, Praga, 1999.

[5] Lenin Oña, Visión Integral de Estuardo Maldonado in Estuardo Maldonado. Antología 1945 – 2002, Quito, Pontificia Universidad Católica de Ecuador, 2002, p. 13.

[6] Monica Espinel, cat. mostra Exposición Antologica Dibujos 1948 – 1994, Ambasciata ecuadoriana, Casa de Bastidas, Santo Domingo, 1994.

[7] Francesca Pietracci, Estuardo Maldonado: Arte, Dimensionlismo e Hiperspacio- Documento Final, Quito, 2006.

[8] Articolo di Gino Severini, La peinture d’avant-garde, 1917 pubblicato in Le Mercure de France, 1917 poi Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori, Archivi del Futurismo, vol. I, Roma, De Luca Editore, 1958, p. 220.

[9] Benjamín Carrión, cat. mostra El Espíritu de las Formas – Antologica 1954 – 1996, Quito, 1996.

[10] Maria Fernanda Cartagena, Documento Final- Serie del Volumen y el Espacio (1980 – 2000 ).

[11] Ibid.

[12] Luis González Robles, Documento Final – Serie del Volumen y Espacio (1980 – 2000).

[13] Francesca Pietracci, cat. mostra “Istituto italiano di cultura “, Praga, 1999.

[14] Trinidad Pérez, Documento Final – Serie Del Volumen y Espacio (1980 – 2000).

[15] Marco Antonio Rodríguez, Espíritu de las Formas, Quito, 1998.

[16] Milagros Aguirre, Mundo Diners, Quito, 2006.

[17] Luis Bossano R., El recorrido de un arte trascendente: del espíritu a la materia, Quito, 1996, p. 34.

[18] José Garnería, cat. mostra “El Almudín”, Valencia, 2002, p. 16.

[19] Giulio Carlo Argan, cat. mostra L’Aia, 1972.

[20] Marianne de Tolentino, cat. mostra “Museo Filanbanco”, Quito, 1998.

[21] Estuardo Maldonado, cat. mostra “El Almudín”, Valencia, 2002, p. 9.

[22] Vicente Alcarez, cat. mostra “El Almudín”, Valencia, 2002 , p. 14.

[23] Milagros Aguirre, Mundo Diners, Quito, 2006.

[24] Estuardo Maldonado in José Garnería, cat. mostra “El Almudín”, Valencia, 2002, p.17.

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