Periodo della “Riflessione“ o Precolombinismo, anni '60


Nei primi anni ‘60 l’interesse di Estuardo Maldonado si concentrò sullo sviluppo e l’influenza di nuove correnti artistiche europee; le opere del 1960 El toro y el cóndor (tav. 30) e Toros (tav. 31) si rifacevano al Futurismo di Boccioni, con l’uso sapiente di una linea che morbidamente tracciava i contorni ed i corpi degli animali. Linee che si incastravano tra loro fino a formare un reticolo di piani in sequenza, dove era sottolineato il movimento e la forza in un crescere progressivo.


Tav. 30. Estuardo Maldonado
El Toro y el condor, 1960


Tav. 31. Estuardo Maldonado
Toros, 1960
I colori, sia in bianco e nero sia dalle diverse sfumature, non erano mai casuali, ma scelti seguendo un’armonia nelle gradazioni.

Nel 1961 più evidente fu il riferimento a Klee e a Miró; i lavori di quell’epoca erano caratterizzati da schizzi di piccole figurine colorate, da segni elementari ed infantili che ricreavano le atmosfere di giocosi girotondi (Paseo en el campo , tav. 32).


Tav. 32. Estuardo Maldonado
Paseo en el campo, 1960

Attraverso lo studio di Miró acquistò grande importanza anche l’utilizzo dei colori ed il loro accostamento; la linea era sempre nera, a determinare vuoti e pieni, superfici e spazi; si chiudeva su sé stessa e si apriva ad intervalli scanditi ritmicamente.
In quei primi anni romani partecipò a delle mostre collettive: nel 1960 alla Rassegna 10 Artisti Latinoamericani presso la Galleria Babbuino , nel 1961 l’esposizione Giovani Artisti Stranieri a Roma presso la Galleria San Luca.
Poco a poco iniziarono a prendere forma i primi simboli preispanici, i pensieri dell’artista si rispecchiavano nelle sue espressioni artistiche: sebbene il trasferimento in Italia fu per lui apertura verso nuove tecniche e stili d’arte, una certa nostalgia per la sua terra e la sua cultura iniziò ad intensificarsi. 


Lontano miglia e miglia non dimenticò mai la sua provenienza, ma ricercò nella memoria e nei ricordi una possibilità nell’esprimere il proprio passato, la storia da cui discendeva.
In Primitivo No. 1 (tav. 33) segni neri rappresentavano figure biomorfe e zoomorfe di ispirazione “rupestre“: ogni “graffito“ era racchiuso in un piccolo riquadro, cella, dove i colori chiari dello sfondo mettevano in risalto lo “stile preistorico“ e stilizzato della composizione.
 


Tav. 33. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 1, 1961

Allo stesso modo in Primitivo No. 2 e Primitivo No. 3 (tavv. 34-35) furono riproposti i simboli dell’arte precolombiana: uomini, donne, animali dalle piccole dimensioni, privi di consistenza e spessore volumetrico sembravano esercitare riti magici, sacrifici; un’arte “preistorica“ dalla valenza ultraterrena.


Tav. 34. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 2, 1961



Tav. 35. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 3, 1961

Dato che in questi anni ci fu un avvicinamento(o riavvicinamento) alle proprie origini , anche quelle più semplici , l’artista realizzò delle opere scultoree come la serie Homenaje al obrero (Omaggio all’operaio) (tavv. 36-40) e Homenaje a la piedra (Omaggio alla pietra) (tavv. 41-45).


Tav. 36. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965
Secondo l’artista la pietra era la base della storia, elemento naturale, “... è stata un’inseparabile compagna nella lotta dell’uomo...nessuno aveva mai dedicato un omaggio alla sua esistenza “; così Estuardo Maldonado la fece diventare protagonista di un numero di opere circoscritte: la pietra come origine, come elemento esistente in natura, ma modificato (e modificabile) grazie alla presenza dell’uomo.


Tav. 37. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965

L’operaio indicava l’umile figura di un uomo lavoratore: artigiano, fabbro, falegname; gli utensili e gli arnesi da lavoro (seghe, zappe, ruote, pialle) furono usati dall’artista per produrre delle sculture “meccaniche“, dei “readymades“ di origine industriale; dove non era più importante distinguere l’oggetto utilizzato né la sua funzione primaria ma l’opera nel suo insieme, da attrezzi quotidiani a “fondamenti artistici“, indispensabili per la creazione di queste composizioni.

Tav. 38. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965


Tav. 39. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965


Tav. 40. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965

Forse gli “ispiratori” di questi assemblages furono Marcel Duchamp e Jean Tinguely (con più probabilità il lavoro dell’italiano Ettore Colla); Maldonado tuttavia intese non solo rappresentare i meccanismi interni di un prodotto ultimato ma rendere omaggio all’impegno e alla fatica dei lavoratori; secondo la critica ecuadoriana María Fernanda Cartagena: “L’artista si identifica con loro come artista, come creatore e ci fa riflettere sui concetti di lavoro, sforzo e produzione.“1
Dal 1960 al 1963 furono sviluppate le due serie , pressoché contemporaneamente: le opere di Homenaje a la piedra erano quindi in pietra e si basavano sulle molteplici possibilità espressive di tale minerale. 

Tav. 41. Estuardo Maldonado
La piedra con sus grabados de oro, 1965
 
Mai levigate, ma dai bordi irregolari, le pietre avevano forme e dimensioni molto diverse, con sfere dorate disegnate sulla superficie o segni tribali scolpiti, in equilibrio su uno dei lati o poggiate su dei basamenti, in sviluppo orizzontale o verticale.
A volte erano presenti elementi geometrici a coprire la parte esterna, mentre altre volte la pietra era tagliata da fessure sempre lineari che tendevano ad evidenziare il volume e lo spessore esistenti. 

Ziggurats e macigni imponenti incorporavano spazi vuoti che si alternavano a convessità porose; disegni di schegge, angoli, frecce appuntite erano realizzati sulle superfici così da creare dei pattern visivi di forte impatto. 
  

Tav. 42. Estuardo Maldonado
Ziggurat, 1965

Pietre colorate o grezze, non più semplici elementi primitivi privi di qualsiasi valenza significativa ma arricchiti di nuovi connotati artistici e decorativi.
I prodotti della serie Homenaje al obrero avevano diverse fattezze: simili ai meccanismi interni delle macchine, differenti oggetti uniti tra loro in maniera mai casuale, composizioni minimaliste che acquistavano sembianze quasi umane (un vago ricordo delle sculture etrusche e dei lavori di Giacometti), materiali di carattere industriale trasformati in creazioni artistiche.
Spesso si distinguevano gli utensili usati, altre volte erano lavorati e raggruppati ad incastro in modo da creare un continuum difficile da decifrare.
Alcune opere erano dipinte con i colori primari, altre rimanevano del loro colore originario: grigio o rame, che alla presenza della luce determinava uno scintillio particolare.
La scelta dei diversi elementi si basava su criteri di equilibrio; il prodotto doveva avere una corrispondenza sui diversi lati, nessun lato poteva essere né troppo pesante né carico di elementi: l’insieme doveva possedere una statica stabilità.

Tav. 43. Estuardo Maldonado
La piedra de las 6 formas, 1968


Tav. 44. Estuardo Maldonado
La piedra de los 6 lados, 1968



Tav. 45. Estuardo Maldonado
Forma ancestral, 1966

Anche dal punto di vista pittorico il percorso seguito dall’artista continuò a gravitare all’interno dell’antico mondo precolombiano: simboli preincaici si ripetevano come tessere di mosaico, colori caldi della terra natale.
Nel 1962 espose i suoi lavori in una mostra personale alla Galleria Artisti d’Oggi , sempre in quel periodo Maldonado scoprì ed impiegò una nuova tecnica: l’encausto 2, così come l’utilizzo di lamine d’oro, che rendevano l’opera di fattura più antica.

Tav. 46. Estuardo Maldonado
Composición No. 2 – A, 1962
Di quell’anno Composición No. 2 – A, ad encausto (tav. 46).
Tela dalle grandi dimensioni con sottili geroglifici rinchiusi in piccoli riquadri: grande varietà di segni, alcuni di tipo geometrico, altri di carattere naturale – vegetativo.
La superficie era compatta, omogenea sebbene scandita in intervalli irregolari da incomprensibili “microcosmi “, mondi a parte , poeticamente tracciati.
Il critico Nello Ponente dichiarò: “Il segno ci indica una traccia, a volte una linea, senza riferirsi ad un tempo o anno o spazio preciso(...) anche il senso ritmico si succede attraverso piccole zone, riquadri interamente colorati. Come per uno sviluppo di varie intensità strutturalizzate, interrotte da pause appena indicate.” 3

In Imagen Cósmica No. 1 (tav. 47) la presenza dell’encausto e dell’oro serviva a mettere in risalto le diverse gradazioni dei tasselli secondo un’alternanza studiata ed armonica.

Tav. 47. Estuardo Maldonado
Imagen cósmica No. 1, 1962

L’opera era circolare; il punto focale era al centro da cui partivano raggi contenenti le geometriche sezioni in grandezza crescente.
La circonferenza era contornata da una corona rossa su uno sfondo nero, “una specie di figurazione stellare...La sequenza dei segni è incisa da forme cosmiche che si uniscono ad essa e la rinforzano“. 4 

La composizione si rifaceva agli studi astronomici già introdotti nelle popolazioni precolombiane: lo stesso artista, con quest’opera e con altre successive, sviluppò delle serie legate a questo campo di ricerca, Imagen Cósmica , appunto e Constelaciones (tavv. 48-49).

Tav. 48. Estuardo Maldonado
Constelación, 1962


Tav. 49. Estuardo Maldonado
Constelación No. 10, 1964

Arte come segno, omaggio all’antichità e non solo: nei lavori era presente un’evoluzione del geroglifico preincaico, una nuova visione moderna del simbolo, partendo da elementi costruttivisti rappresentati dall’uruguayano Joaquín Torres García.
Artista e teorico, Torres García nacque da una famiglia uruguayana ma trasferitasi in Europa, a Barcellona, successivamente si stabilì a Parigi , dove formulò le sue teorie artistiche.5
Negli anni ’30 definì il suo Costruttivismo basato sulla capacità di: “...un sistema che poteva far incontrare le componenti razionali (costruttive) con quelle istintive (preistoriche), cercando di includere termini moderni allontanandosi così dallo stile classicista.“ 6
Sebbene Estuardo Maldonado affermò poi di non essere mai stato a conoscenza del lavoro artistico di Torres García, ma solo di quello teorico, riportare in auge la cultura precolombiana in termini moderni richiamava in qualche modo l’insegnamento dell’artista uruguayano.
Due opere a confronto: La pareja e su mundo del 1943 di Torres García e Estructura No. 30 del 1960 di Estuardo Maldonado (tavv. 50-51).


Tav. 50. Joaquín Torres García
La pareja y su mundo, 1943


Tav. 51. Estuardo Maldonado
Esructura No. 30, 1960
Entrambe le opere si sviluppavano in lunghezza, di colore scuro; il piano era suddiviso in un reticolato costituito da piccole “celle” di diverse dimensioni contenenti animali, maschere, oggetti di uso quotidiano.
La differenza principale era evidente: mentre nel lavoro dell’uruguayano gli elementi raffigurati erano simili a nature morte, nel quadro di Maldonado gli oggetti erano soprattutto simboli e raffigurazioni precolombiane: piccoli totem, figurine antropomorfe e zoomorfe con le stesse fattezze dei reperti archeologici provenienti dalle antiche culture pre-incaiche.
Alla fine di quell’anno vinse il Primo Premio Nazionale degli Studenti d’Arte in Italia a Roma, mentre nell’anno successivo, nel 1963, il Primo Premio Nazionale di Giovani Artisti, sempre nella Capitale.
Maldonado continuò ad ispezionare possibili modi nel rappresentare il segno.
Per lui il simbolo non era soltanto un processo razionale, ma andava al di là della sola logica: era passione, mito, memoria, ricordo.
Passione verso una terra, l’Ecuador, che seppur lontana non poteva e non voleva abbandonare.
Mito come cultura precolombiana, da sempre profondamente radicata nell’artista.
Memoria di un mondo antico, passato ma mai sepolto.
Ricordo del proprio vissuto infantile, della propria origine.
Fu lo stesso Nello Ponente ad esprimere un giudizio sul mondo“segnico“ di Maldonado: “Il simbolo è il mito ed il ricordo, a volte dalla contemplazione rassegnata del passato.“ 7
Da sempre il segno è stato importante non solo in campo artistico, ma anche in campo filosofico.
Secondo Hegel l’arte si esprimeva attraverso l’opera esistente per il creatore e per il pubblico e sottoforma di idea. Il simbolo artistico non era altro che” intermediario tra significati – oggetti , non un mezzo di referenza oggettiva , ma la traduzione diretta dell’idea estetica dell’artista.“ 8
Per Immanuel Kant nella “Critica del giudizio” il creatore era l’inventore di segni e simboli, i quali erano la rappresentazione del genio dell’artista, quindi “simbolo artistico come creazione stessa dell’oggetto.“ 9
Il critico d’arte Erwin Panofsky, definito come “Padre dell’Iconologia moderna”, distingueva la lettura di un’opera d’arte secondo tre livelli: descrizione pre/iconografica (visione immediata dell’opera), identificazione del soggetto ed identificazione del significato. Per lo studioso tedesco: ” Gli elementi simbolici della forma espressiva non sono intrinsechi, ma formano con essa un’unità organica di significato.“ 10
L’artista sudamericano nel riproporre il simbolo preincaico voleva affermare la propria identità e farla conoscere al pubblico italiano ed europeo; fu lo stesso Benjamín Carrión a dichiarare: “ Maldonado grida l’origine attraverso le linee e i simboli.” 11
Questo “ritorno alle origini“ fu sostenuto anche dall’interesse sempre maggiore negli Stati Uniti e in Europa nei confronti dell’arte precolombiana e latinoamericana.
Partendo dagli anni ’30, con l’arrivo di alcuni “muralisti“ messicani che si trasferirono per lavorare nelle metropoli americane 12; iniziarono ad essere infatti sempre più numerose le mostre che si occupavano dell’arte del Sud America.
In un primo momento gli Stati Uniti si interessarono maggiormente all’arte messicana, con mostre sparse per il Paese 13, poi anche all’arte più primitiva.
Questa attenzione arrivò in Europa, prima negli anni ’40 – ’50 in Francia poi negli anni ’60 in Italia, a Roma.
Nel 1960 – 1961 fu allestita presso il Palazzo delle Esposizioni la mostra Arte Precolombiana, nel 1962 – 1963 l’esposizione Capolavori d’arte messicana dai tempi Precolombiani ad Oggi; in quegli anni fervido era l’interesse in ambito romano.
Nel 1963 Esuardo Maldonado realizzò la sua mostra personale nella Galleria Scorpio e fu invitato a partecipare alla IV Rassegna di Arti Figurative di Roma al Palazzo delle Esposizioni a Roma , un’ importante “vetrina“ che gli permise di farsi notare dal pubblico e dalla critica italiana. La sua partecipazione infatti non passò inosservata, così scrisse il critico Arturo Bovi: “Un giovane di grande talento artistico e di una ricca, fantastica vena poetica... Qualità che non traggono origine soltanto dalle componenti dell’antica arte precolombiana o dal mitico e favoloso fascino del linguaggio degli Incas. La bellezza delle sue immagini così pure nel ritmo ad intarsio del colore e della forma o nei graffiti simbolici...” 14
Maldonado realizzò nuove opere basate sui segni primitivi: una tra queste fu Ecuador Rojo (tav. 52).


Tav. 52. Estuardo Maldonado
Ecuador rojo, 1963
Questa volta non solo il lavoro richiamava la terra dell’artista, ma anche il titolo.
Una grande superficie rossa, lavorata ad encausto, presentava i già familiari “totem“, ora più geometrici ed ordinati; sebbene simili mai uguali.
Di spunto diverso la composizione Maraton Olímpica (tav. 53).

Tav. 53. Estuardo Maldonado
Maraton olímpica, 1963
Lo sfondo era bianco, così un simbolo dalla vaga somiglianza fallica, ripetuto in successione ritmica e di diversa dimensione: non allineato ma disposto sulla superficie costituita da piani ondulati.
Nell’ultimo piano non era più presente il simbolo – modulo, ma un’evoluzione di esso: da semplice “stampo“ si era trasformato in un essere umano stilizzato, era presentato il suo movimento in fieri 15: aveva acquistato le sembianze di un corridore, un maratoneta, da cui il titolo. 
 
L’opera Composición No. 3 (tav. 54) si presentava più complessa.

Tav. 54. Estuardo Maldonado
Composición No. 3, 1963
La superficie era ricoperta da simboli più calligrafici che volumetrici: il fondo si incastrava con la parte più esterna, a differenziarli solo la scelta di due colori: il rosa ed il lilla. Era la stessa linea continua a cambiare gradazione: dall’azzurro al rosa, un intricato reticolo reso ancora più incomprensibile dalla presenza velata di oggetti, questa volta definiti da tre colori: il rosso, il blu e l’azzurro.
Una texture intricata ma riccamente eseguita: il segno, sebbene mai interrotto e aggrovigliato sulla superficie, qualora dipanato avrebbe rivelato la continuità nello sviluppo di un altro “stampo”: una S angolare, modulo che sarà utilizzato ampiamente dall’artista, divenendo il suo elemento distintivo.
L’artista ricercò nella sua memoria e nel suo inconscio un segno che vide per la prima volta quando era ancora un bambino ed abitava nel suo paese natale, Pintag.
Durante una lezione all’aria aperta con i suoi compagni trovò a terra un pezzo di ceramica con sopra inciso il segno S; questo segno così misterioso sarebbe rimasto sempre impresso nei suoi ricordi infantili.
Da adulto non solo impiegò questo simbolo come suo ideogramma rappresentativo, ma ne studiò il significato: presto si venne a scoprire che questo simbolo fu usato anticamente e risaliva al mondo precolombiano; ancora una volta il passato preincaico era presente nella sua vita.
Studi più approfonditi portarono l’indagine all’interno del campo archeologico.
In un primo momento l’archeologia concentrò il proprio interesse nella ricerca di reperti provenienti dal mondo incaico, non chiedendosi se potesse esistere una cultura ancora più primitiva. Solo nel 1956 grazie alla scoperta dell’archeologo ecuadoriano Emilio Estrada di una civiltà preincaica presso le coste della provincia di Guayas 16(quella che poi fu definita Valdivia) si iniziò a parlare di “Periodo Formativo”, caratterizzato dall’utilizzo della ceramica.
La cultura Valdivia si sviluppò in un periodo indefinito; gli archeologi non furono concordi nel dare una specifica data iniziale e finale, approssimativamente dal 3500 – 1800 aC. 17
Furono diverse le ipotesi nel determinare i periodi di tale civiltà in base agli oggetti in ceramica ritrovati e alle tecniche usate (incisione,a rilievo, ad asportazione 18), le teorie più convincenti furono: la classificazione in quattro momenti determinata dal già citato Estrada 19 e in otto fasi stabilita dalla ricercatrice Betsy Hill. 20
Molti furono i reperti rinvenuti: recipienti, piatti, ciotole, tazze, utensili e infine figurine femminili dai tratti appena abbozzati, le “ Venus “, probabilmente simboli di fertilità per uso spirituale – cerimoniale.
Alcuni oggetti avevano forme particolari (circolari, a conchiglia, a spirale), colorati (quelli più usati, derivati da fibre vegetali erano il rosso, l’ocra, il nero e a volte il bianco) ed erano rivestiti di segni; rilievi, linee ondulate , linee parallele , linee a zig – zag (forse rappresentazione stilizzata di rettili21) forme vegetali, zoomorfe, disegni geometrici.
L’importanza dei segni venne messa in risalto dal critico britannico Arnold Hauser all’interno della sua visione artistica come sociologia dell’arte; per lui ogni “fenomeno figurativo” doveva essere analizzato in relazione al contesto storico e sociale. Il mondo era costituito da segni: ideografici , schematici e convenzionali , che indicavano l’oggetto. Per Hauser: ” Invece dell’anteriore pienezza della vita concreta , l’arte tende ora a fissare l’idea , il concetto , la sostanza delle cose , creare simboli , invece di immagini. “ 22
Estuardo Maldonado quindi riprese un segno arcaico, proveniente da una cultura a cui lui si sentiva di appartenere. Questa S angolare divenne la sua firma. Involontariamente si può pensare ad un richiamo alle opere seriali di Capogrossi; ma i presupposti ed i risultati erano molto differenti: Capogrossi adoperò un segno, la “forma trina”, per rappresentare sé stesso, Maldonado usò la S come simbolo rappresentativo delle sue origini e della civiltà antica andina.
Questo segno fu spiegato da alcuni critici come rappresentazione della vita e della morte : “ vita che si alza (verticalmente) e morte (orizzontalmente) si allinea e si livella...” 23 , come segno positivo e negativo “in un fluire e in un articolarsi senza alcuna soluzione di continuità. Lo spazio è interrotto e aperto, ma contemporaneamente è avvolgente... “ 24.
Maldonado per mezzo della S angolare rievocava la propria civiltà passata “come stratificata memoria ed antropologica essenza...” 25 , S come segno magico e misterioso, che simile ad una fenice “si modifica , si arricchisce , è uguale e distinta , si crea e rinasce...” 26.
La critica argentina Marta Traba, avendo osservato il lavoro dell’artista, affermò che le sue opere erano costituite prevalentemente da materia e segno che “si aiutano reciprocamente a formare vasti testi calligrafici che vanno ad illustrare , senza preoccuparsi di alcuna narrazione , un gran orgoglio di razza , una decisa volontà di riscattare dall’oblio le forze ancestrali...” 27
Nel 1964, dopo aver adottato questo suo simbolo specifico, lo utilizzò in molti suoi lavori: Imagen Cósmica (opera della serie omonima) era un esempio (tav. 55).


Tav. 55. Estuardo Maldonado
Imagen cósmica, 1964
La grande superficie marrone era ricoperta da questo glifo bianco, ma esso aveva dimensioni sempre diverse: in alcune parti aumentava di volume, in altre si restringeva: allo stesso modo in alcuni lati si diramava, mentre in altri la presenza di questa S si infittiva.
L’opera in alcuni tratti rimaneva priva di segni così da far risaltare in superficie delle linee “vuote” di colore marrone e dei piccoli punti dai colori primari; l’insieme ricordava dei movimenti stellari, cosmici.
Un altro lavoro La noche (tav. 56) ricordava una notte stellata. 


Tav. 56. Estuardo Maldonado
La noche, 1964
 
La superficie era nera ma sottili tessere di colori vivaci ponevano in risalto il contrasto nero – colore; i piccoli moduli si alternavano e così le dimensioni sempre geometriche.
Texture imponente quasi bidimensionale (effetto che verrà sviluppato dall’artista in un secondo momento).
Esempio della S come modulo si trovava nell’opera: Composición No. 8 (tav. 57).

Tav. 57. Estuardo Maldonado
Composición No. 8, 1964
Qui il segno era impresso a encausto, il fondo bianco: un lavoro all’apparenza spoglio ma di grande richiamo. La S sembrava possedere un’essenza propria: piccola, grande, capovolta, dritta, pareva rincorrersi all’infinito. Il piano acquistava volume, profondità.
Nel 1965 eseguì Superficie roja (tav. 58) opera interna alla serie Grandes Superficies Monocrómicas. 

Tav. 58. Estuardo Maldonado
Superficie roja, 1965
 
Due diverse tonalità di rosso pervadevano la tela dalle grandi dimensioni, piccoli labirinti lineari creavano fitte textures enigmatiche.
L’artista partecipò a diverse mostre collettive 28 e a due personali: una alla Galleria Il Carpine, l’altra alla Galleria Il Bilico; in quest’ultima occasione il critico Giuseppe Gatt nel vedere i suoi lavori dichiarò: “La migliore pittura di Maldonado è quella delle forme monocrome composte a contrasto sopra un fondo puro monocromatico, dentro le quali si infiltra un reticolo di segni e geroglifici scavati nella materia: e disposti secondo imprescindibili dinamismi e proporzioni che li intrecciano come le trame di un tessuto o li imprimono come nitidi alfabeti.“ 29
Sempre in quell’anno eseguì El Alba e Superficie Tridimensional (tavv. 59-60).

Tav. 59. Estuardo Maldonado
El alba, 1965


Tav. 60. Estuardo Maldonado
Superficie tridimensional, 1965
La S angolare ripetuta ossessivamente e dinamicamente era riproposta ad encausto su entrambe le superfici: bianche, in modo da far risaltare lo stesso segno.
Reticolati geometrici, calligrafici, sottili nello sviluppo continuo della linea.
Il titolo della seconda opera ricordava il senso “ tellurico “ e del piano frontale.
Nel 1966 la creazione di Imagen Cósmica (tav. 61).

Tav. 61. Estuardo Maldonado
Imagen cósmica, 1966
 
Sempre interna alla serie “astronomica“ l’opera era formata da un cerchio centrale bianco e viola impresso da moltecipli S angolari, alternativamente bianche e viola, con uno sfondo anch’esso bicromo.
L’impatto era immediato: calendario astrologico, simbolo magico; le ripetizioni, i ritmi ed i
pieni – vuoti erano stati razionalmente studiati dall’artista, dotato di uno spiccato “geometrismo cerebrale“. 30
In quell’anno fu invitato a partecipare alla XXXIII Biennale di Venezia e alla II Biennale d’Arte Sacra a Celano dove vinse il Gran Premio con l’opera: Personajes (tav. 62).

Tav. 62. Estuardo Maldonado
Personajes, 1962
Il lavoro era stato realizzato nel 1962, quindi nel suo periodo iniziale del Precolombinismo.
Tre totem sullo sfondo si intravedevano velati da uno strato geroglifico color rosso rubino.
I geroglifici erano difficilmente visibili, le tessere si incastravano tra loro formando una coltre compatta. Unico punto focale evidente il colore nero del totem centrale che risaltava in superficie.
Nel 1967 l’artista visitò gli Stati Uniti ed il Messico dove realizzò delle mostre.Nel Nord America espose a New York, Washington D.C. e Chicago, dove il critico Rafael Squirru definì le sue opere come “: “un mestizaje“, incrocio, “melting pot“: l’unione della cultura europea ed occidentale con quella precolombiana degli indios “. 31
In Messico il suo lavoro, presso la Galería Obelisco, era introdotto dal critico Maurizio Fagiolo: “L’iconografia è semplice e complessa allo stesso tempo, i suoi percorsi di linee si aprono a prospettive oniriche, dalla costruzione si va alla rappresentazione, il mondo delle piccole cose cede il passo alle grandi, dalle orme al labirinto...rendere comprensibile un geroglifico millenario, riuscire a mutare il segno individuale...“ 32 e dal Capo delle Arti Visuali dell“Unione Panamericana“, José Gomez – Sicre: “...Nell’arte ecuadoriana esiste un movimento prominente in cui le forme e textures precolombiane si incorporano nell’arte astratta per uso di nuove tecniche. Estuardo Maldonado è uno degli artisti giovani che ha seguito questo movimento con maggior successo.“ 33

Dopo queste mostre e un “esilio“ durato dieci anni, tornò nella sua terra natia.
Lì fu accolto con grande affetto e stima da pubblico, critica e dagli artisti suoi colleghi.
Fu festeggiato e ricordato con diverse mostre presso la “Casa de la Cultura“ sia a Quito sia a Guayaquil; il suo sviluppo artistico era evidente a tutti, così la sua trasformazione come individuo.
Dopo questo primo ritorno i suoi viaggi in Ecuador furono più frequenti.
L’esperienza italiana aveva influenzato i suoi lavori; ma la nostalgia del suo paese aveva sollecitato in lui la volontà di rappresentare le sue origini, sviluppando una personale identità artistica e una ricerca estenuante per acquisire“...un linguaggio proprio d’America.“ 34
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NOTE


1
A.A.V.V., Maria Fernanda Cartagena, Documento Final – Serie Precolombina (1960 – 1971), Periodo Homenaje al Obrero ( 1960 – 1963 ).
2
“ Tecnica di pittura in uso presso gli antichi che consisteva nell’applicare a caldo su supporto asciutto i colori impastati con cera “. Gabriel Cevallos García, Nuova Enciclopedia Universale Rizzoli – Larousse, vol. VII, Milano, Rizzoli, 1989, p. 393.
3
Nello Ponente, cat. mostra Galería Obelisco, Messico, luglio – agosto 1967.
4
Venancio Sánchez Marín, Documento Final – Serie Precolombina (1960 – 1970), Subperiodo de las Constelaciones (1964 – 1966).
5
Teorie prima esplicate nella rivista Cercle et Carré (1936) poi nel libro Universalismo Constructivo (1944).
6
José María Faerna García – Bermejo, Joaquín Torres García, Barcelona, Ediciones Polígrafa, 2002, p. 43.
7
Nello Ponente, cat. mostra El Espíritu de las Formas Antologicas 1954 – 1996, “ Casa de la Cultura “, Quito, agosto 1996.
8
Esteban Ayala C., Arte y Ideología (La enajenación en el arte y los recursos para la realización del significado artistico) , tesi di laurea, Pontificia Universidad Católica del Ecuador, 1983.
9
Ibid.
Ibid.
Benjamín Carrión, cat. mostra Galería Permanente, “ Casa de la Cultura “, Quito, Ottobre 1967.
Diego Rivera, José Clemente Orozco e David Alfaro Siqueiros.
“...A New York, Detroit, Filadelfia, Boston e Los Angeles...” Edward J. Sullivan (a cura di), Latin American Art in The Twentieth Century, London, Phaidon, 1996, p. 11.
Arturo Bovi, Il Messaggero, Roma, 1963.
Probabile riferimento al Nu qui descend les escaliers (1912) di Marcel Duchamp o alle opere dei futuristi italiani come Boccioni e Balla, di cui Bambina che corre sul balcone (1912) sembra un esempio.
La provincia di Guayas si trova nella parte sud – occidentale dell’isola.
Data di riferimento quella determinata dall’enciclopedia ecuadoriana, Gabriel Cevallos García, Arte Ecuatoriano – Salvat, vol. I, Quito, Editores Ecuatoriana S.A., 1976.

18 A.A.V.V., El Encanto de Valdivia, vol. III (Frammenti pubblicati nel 1956 dalla “ Fondazione Victor Emilio Estrada “ ed i ricercatori Clifford Evans , Betty Meggers) Occidental Exploration And Productions Company, 1999.
Fanny Patricia Granja Falconi, Aporte de Emilio Estrada Ycaza a la Arqueología Nacional, tesi di laurea, Pontificia Universidad Católica del Ecuador, 1990.
Donald W. Lathrap, Ancient Ecuador, Field Museum of Natural History, Chicago, 1975.

21 Johannes Wilbert, Studies in Pre – Columbian Art and Archeology, Washington D.C., Dumbarton Oaks, 1974.
A.A.V.V., El Encanto de Valdivia, vol. III, (Frammenti pubblicati nel 1956 dalla “ Fondazione Victor Emilio Estrada “ ed i ricercatori Clifford Evans, Betty Meggers) Occidental Exploration and Productions Company, 1999.

Hernán Rodríguez Castelo, Guido Montana,Lenin Oña (a cura di), Del Simbolismo al Dimensionalismo E. Maldonado, Guayaquil , Cromos S.A., 1989, p. 76.
Guido Montana, cat. mostra Museo Banco Central, Quito, 1976.
Hernán Rodríguez Castelo, Guido Montana, Lenin Oña (a cura di), Del Simbolismo al Dimensionalismo E. Maldonado, Guayaquil, Cromos S.A., 1989, p. 76.
Manuel de J. Real, Estuardo Maldonado: un ecuatoriano universal, Guayaquil, Editorial 5, 1990.
Marta Traba, cat. mostra El Espíritu de las Formas Antologicas 1954 – 1996,” Casa de la Cultura “, Quito, 1996.
Estuardo Maldonado partecipò a delle mostre collettive presso La Galleria Scorpio, la Rassegna Artistica Latinoamericani di Avanguardia presso la Galleria Bianco e Nero e alla Galleria Due Mondi sempre a Roma.
Giuseppe Gatt, cat. mostra Estuardo Maldonado, Galleria Il Bilico, Roma, 1965.
Adriana Chávez, El Precolombinismo de Estuardo Maldonado.
Rafael Squirru, cat. mostra Roma Gallery, Chicago, 1967.
Maurizio Fagiolo, cat. mostra Galería Obelisco, Messico, 1967.
José Gomez – Sicre, cat. mostra Galería Obelisco, Messico, 1967.
Wilson Hallo, El Telégrafo, Guayaquil, 1993.

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